You are currently viewing Destination Marketing and Management: il punto di “svolta” del comparto turistico italiano
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La scorsa volta abbiamo fatto il punto della situazione provando a capire cosa potersi aspettare nel prossimo futuro.

Continua la nostra chiacchierata con Cataldo Manelli, Hotel Manager e Hospitality Consultant, attualmente Director of Sales di 5 Hotel a Milano, quest’oggi vogliamo concentrarci su altro, analizzando quali insegnamenti porta con sé la situazione che stiamo vivendo e quale può essere il punto di forza del comparto turistico italiano. 

Il patrimonio turistico italiano è notoriamente tra i più variegati al mondo. Questo vale per la tipologia di offerta ma anche per la distribuzione sul territorio delle strutture e gli ambienti economici. Quale può essere, secondo Lei, un modello aggregativo valido, in grado di valorizzare realtà tanto disparate? 

Da oltremanica e anche da oltreoceano abbiamo importato e adottato il termine “Destination Marketing and Management”, queste tre parole da sole racchiudono così tanti concetti da poterci scrivere un libro intero; sorvolo sulla parte “marketing management” e mi soffermo sulla “destination”. 

Un’Illustre pietra miliare dell’hospitality internazionale, in passato, affermava che il successo di un hotel si basasse sulla sua ubicazione e, per essere incisivo, citava la forza delle tre “L”, che stanno per “Location, Location, Location”.

L’Italia è tutta una location attrattiva e di quelle più ambite, apprezzate, desiderate e sognate al mondo. Racchiude in sé un patrimonio unico nel suo genere – non sto qui ad elencare nulla – aggiungo solo che se è vero che questa unicità che ci ritroviamo dai nostri avi e dalla incantevole morfologia peninsulare che è così apprezzata, a tutt’oggi non siamo ancora in grado di presentare bene al resto del mondo il “prodotto” Italia, organizzato e diversificato allo stesso tempo, con le sue innumerevoli eccellenze e peculiarità locali.

Non riusciamo a far conoscere tutto il nostro patrimonio nazionale se non per alcune città e monumenti, né i luoghi naturalistici ed incantati che abbiamo, né le ricchezze paesaggistiche; tantomeno riusciamo a sfruttare appieno il volano dell’enogastronomia, attraverso opere ed azioni di consapevolezza e tutela prima, e promozione dopo.

A mio avviso ci vuole solo tanta volontà ed unione d’intenti, coesione e abolizione della competitività campanilistica. Cercare di fare gruppo per formare aggregazioni di destinazione che abbiano come obiettivo quello di attrarre e saper gestire flussi turistici.

Gestire servizi che vedono i turisti accolti e supportati dall’arrivo in Italia sino alla ripartenza, con un focus nodale sull’accoglienza, puntando su professionalità ed esperienzialità dei soggiorni, per trasmettere una percezione di benessere, spensieratezza e spontaneità, che sono i trend di richiesta che stiamo registrando nel turismo. 

Grazie ad una formazione specifica dei professionisti e delle comunità, unita alla professionalità degli operatori turistici di ogni ordine e grado, si potrà fare rete e costruire quel fitto tessuto che sarà la base per creare club di prodotto, di territorio e di strutture turistiche che sfocino in consorzi ed osservatori permanenti.

Puntare molto di più sull’etica comportamentale da parte di tutto il comparto turistico e, per le strutture ricettive alberghiere ed extra-alberghiere, svoltare con un vision sempre più improntata al neverendig tourism. Puntare sulla sostenibilità, sull’ecologia e sull’impatto ambientale che possiamo gestire e controllare con azioni ed opere virtuose di buon senso e educazione civica, oltre che intervenire sui processi industriali di produzione e trasformazione. 

Infine, bisognerebbe valorizzare l’ampliamento esponenziale della digitalizzazione su larga scala e l’affinamento dei servizi che possiamo gestire da remoto al fine di velocizzare i processi, migliorare le performance e riacquisire tempo utile da investire in azioni di marketing e servizi visibili, percepibili e tangibili dai nostri ospiti-clienti-turisti.

Concludo dicendo che: molte volte, però,  questa visione si scontra con la realtà. 

Prendiamo ad esempio noi professionisti dell’ospitalità italiana, frammentati e raggruppati sotto l’egida di una miriade di associazioni di categoria e d’impresa, ognuna delle quali, se pur per il bene comune, percorre strade ed intraprende iniziative diverse, a volte quasi in contrasto…mi chiedo, dove vogliamo andare?

Oggi più che mai, sarebbe saggio riunificare tutti sotto un’unica bandiera ed essere più incisivi a beneficio di tutto il comparto turistico dell’ospitalità, dell’Italia e degli italiani. Si pensi che più del 35% della popolazione nazionale è impegnata o gravita attorno ad attività legate al comparto turistico e dell’indotto generato.

Vorrei parlare ad esempio degli hotel individuali o di catena: se fossero tutti uniti, coesi e rappresentati sotto un’unica associazione d’impresa riconosciuta assieme alle associazioni di categoria, si potrebbe dare manforte a Ministero, Governo, ENIT, etc. e far sentire compatte le nostre richieste e necessità. In qualità di organi volitivi e partecipativi ai tavoli decisionali, potremmo suggerire l’attivazione di accordi internazionali per creare corridoi turistici – in questo momento storico, fondamentali per il futuro dell’Italia – presentare fattive proposte di ripresa, consigliare azioni di marketing, essere attivi nel far comprendere le necessità del comparto e non subire passivamente molte decisioni che non sono realmente efficaci: mi riferisco, sempre per portare un esempio, agli esigui aiuti che sono stati rivolti ad una parte del comparto e alla completa dimenticanza di molta parte dei professionisti dell’indotto, nelle misure di aiuto e ristoro di questo ultimo anno.

Passiamo oltre e proviamo a lasciarci alle spalle questo momento storico.  Quale lezione si porta via da questa esperienza?

A livello umano e personale, ho visto attorno a me tanta gente che ha riscoperto valori profondi e ha ricominciato ad apprezzare di più la libertà di una convivialità che ci è stata tolta, la presenza, gli amici, gli incontri, gli abbracci. Se ci si può vedere di persona, facciamolo, la virtualità aiuta ma non può sostituire l’essenza del corpo e del contatto.

Il mio consiglio, soprattutto per coloro che non lo fanno, è di essere sempre gentili con il prossimo, essere altruisti e, se possibile, dedicare del tempo ad opere di volontariato.

Essere sé stessi sempre, perché proprio in questo periodo storico particolare, sono riuscito a  comprende quanto vuota sia l’esistenza di chi vuol sempre apparire sul palcoscenico, anche della vita quotidiana, impersonificando personaggi non propri e indossando maschere. 

Mi sento infine di esortare ad esternare sempre i propri sentimenti: se vuoi dire o fare qualcosa di bello a favore di qualcuno, dillo, fallo, non aspettare oltre, potrebbe non esserci più tempo.

Riscoprire valori quali la sostenibilità ed il rispetto delle risorse naturali con un occhio preponderante alla tutela dell’ambiente e degli ecosistemi, rafforzando l’impegno e le misure a salvaguardia del pianeta che ci permette di vivere su di esso e di esso.

A livello professionale, invece, credo che l’utilizzo di strumenti di telelavoro come smart working e remote working, oltre alla scoperta di nuove forme di comunicazione, ci abbiano agevolato e fatto capire l’importanza del tempo, nonché di alcuni valori che a volte trascendono l’ambito professionale. Perciò ben venga l’attenzione all’ascolto, al rispetto, alla gentilezza verso colleghi, collaboratori e clienti. 

Infine, è fondamentale mettere sempre al centro delle nostre azioni punti fermi quali la semplificazione, la sostenibilità e l’innovazione nel mondo del lavoro.

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