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Partiamo dalle basi.

L’acronimo ESG (Environmental, Social, Governance) si utilizza in ambito economico/finanziario per indicare tutte quelle attività legate all’ investimento responsabile che perseguono gli obiettivi tipici della gestione finanziaria tenendo in considerazione aspetti di natura ambientale, sociale e di governance.

L’ambiente è al centro di ogni pensiero, speso nel processo di transizione , verso un modello di sviluppo più sostenibile. 

L’idea di poter migliorare la condizione generale dell’esistenza e dell’economia si è, buon per noi, consolidata negli ultimi anni attorno ai fondamentali “cambiamenti climatici” e alla conservazione della “biodiversità”. 

Corretto e ideale. 

Quanto conta il ruolo dell’individuo nel processo di cambiamento?

Nel processo di mutazione non c’è solo il rapporto con l’ambiente e non è l’unico capitolo necessario a completare la magica triade degli ESG necessari per completare il delicato puzzle di una società prospera e civile. 

Una civiltà come dovremmo ambire a poterla definire. 

Ci sono in questa partita così difficile anche, e soprattutto, gli individui

C’è l ’inclusione che al pari dell’emergenza climatica richiede di impegnare enormi sforzi nelle politiche e nelle scelte di business di governi e imprese. 

C’è una vasta, vastissima parte dell’umanità che oggi è esclusa dai benefici del profitto economico, siano essi di ordine reddituale siano essi in forma di chance di emergere e raccogliere le opportunità offerte dal contesto sociale e lavorativo. C’è inoltre il processo di sviluppo economico che troppe volte resta invischiato sugli oggetti, sulle cose e rinuncia ad uno sforzo più mirabile e trasversale includendo i “soggetti”, i contesti. 

Il processo di cambiamento in atto comincia ad apparire come un irreversibile percorso che, seppur ancora troppo lento, è diretto senza esitazioni verso la decarbonizzazione e la scoperta di una nuova età dell’oro dell’economia con i suoi pionieri e i primi esempi di far west. 

Tuttavia il rischio corre subdolo sotto il filo della finanza e del lucro. 

Un modo per ripensare il progresso

Il progresso va ripensato come concetto , non allontanato dalla sua capacità di generare profitto ma penetrato da un’etica sociale e da una forte contestualizzazione che lo renda performante anche sul piano dell’inclusività. 

Senza questo passaggio determinante il rischio profondo è quello di trovarci meravigliosamente immersi in un nuovo mondo che ha recepito e messo in opera l’anima ambientale della nuova economia ma avrà replicato un modello economico dal colore diverso ma con lo stesso segno. 

Più green per tutti ma senza demolizione delle barriere di ingresso al capitale.

Questo aspetto non vuole calcare un visione socialista ma considera invece la necessità primaria di creare un processo incrementale e stabile che non lasci cicatrici e produca eventi sociali catastrofici. 

Non esistono alternative alla sostenibilità oggi, non esiste un progetto esecutivo diverso da quello che non ricerchi con spasmodico desiderio l’equilibrio da contesto sociale, economico e ambientale. 

Un obiettivo vincolante e un’utopia che non pretende di avere realizzazione definitiva, perché il percorso intrapreso per raggiungerla è esso stesso un processo che crea condizioni migliori senza il bisogno di risolversi e collassare come successo per altri sistemi. 

Proprio a questo riguardo, il fallimento del sistema occidentale, che ha stressato l’idea del profitto sta collassando proprio sulla mancanza degli altri due puntelli su cui poggiare il proprio equilibrio : quello ambientale e dell’utilizzo delle risorse, che sta restituendo catastroficamente la pressione e lo sfruttamento subito, e quello sociale che sta rigettando l’utilizzo malevolo dei sistemi democratici a uso oligarchico. 

Le aziende devono impiantare la sostenibilità nei propri processi produttivi , farla scendere nel loro DNA e ricercare quell’equilibrio che renda resiliente e performante l’industria. 

Uno sguardo internazionale

Sono decine di migliaia le imprese già all’opera per introdurre buone pratiche e principi ESG nei processi industriali, sono migliaia i manager che la Harward Business Review definisce “attivisti”, una nuova frontiera del profilo manageriale che cerca di avvicinare al “saper fare” il “perché fare”. 

Il monito del CEO di Black Rock, Larry Fink, risuona come un booster nella marcia verso il consolidamento delle politiche di sostenibilità: “Adesso sappiamo che il rischio climatico è il rischio di investimento” ha ribadito nella sua lettera annuale agli investitori. 

Per la seconda volta, Fink battezza la sostenibilità come assoluto parametro condizionale nella valutazione delle attività del fondo e lancia un monito che una nuvola di capitali finanziari si stanno rapidamente adeguando a seguire. 

Saranno le piazze? I governi? La finanza? Le imprese? 

Chi sarà a consolidare questo processo? 

Una cosa è certa, il percorso è ormai segnato, l’obiettivo è chiaro, le opportunità sono irripetibili. 

Ora serve un’accelerazione come mai prima l’umanità ha sperimentato.

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